Per la mostra Milanesi si diventa sono stati scelti ventotto lavori, tra quasi seicento della Collezione Ramo, che coprono all’incirca ottant’anni di storia dell’arte milanese dai primi del ‘900 alla fine degli anni Settanta. Il disegno si mostra così in tutte le declinazioni presenti: come prima idea fermata sulla carta, come opera d’arte autonoma, come disegno preparatorio, o nell’accezione più ampia di lavoro su carta. Tra centodieci artisti collezionati, i quindici autori scelti (Medardo Rosso, Umberto Boccioni, Luigi Russolo, Carlo Carrà, Mario Sironi, Arturo Martini, Marino Marini, Atanasio Soldati, Manlio Rho, Mario Radice, Lucio Fontana, Fausto Melotti, Emilio Scanavino, Enrico Castellani, Emilio Isgrò) non sono nati a Milano, ma sono venuti a vivere in questa città, partecipando al susseguirsi di dibattiti ed esposizioni che hanno reso unica la storia milanese. Nell’analizzare il contesto artistico milanese, si è suddiviso il percorso storico in tre parti: dagli inizi del secolo scorso al primo dopoguerra, dal 1918 al 1945 e dal secondo dopoguerra al 1979. E’ interessante notare come, per l’intero periodo, ci sia stata una grande sovrapposizione di luoghi, dove gli artisti hanno studiato e lavorato, e di gallerie in cui si sono confrontati movimenti che oggi sembrano lontani tra loro e che allora, invece, si presentavano come parte di un unico coinvolgente dibattito artistico. Basti citare l’Accademia di Brera da cui quasi tutti gli artisti in mostra sono passati, o il Palazzo di Giustizia dove tra il 1935 e il 1939 lavorano Carrà, Sironi, Fontana e Melotti.
Da questa ricerca sono emersi anche una serie di galleristi che hanno fatto la storia dell’arte moderna e un fermento culturale che non risparmiava librerie, bar e luoghi pubblici.
Da ricordare tra le altre la galleria Pesaro dove nel 1922 si costituì il gruppo di artisti del Novecento e dove esposero Sironi e poi Carrà. Si noti ancora la galleria Il Milione, fondata nel 1930 dai fratelli Ghiringhelli, che ha esposto Rho, Radice, Soldati, insieme a Marini, Melotti, Fontana, pubblicando nel 1950 una monografia di Medardo Rosso. Da non dimenticare anche l’attività della galleria Il Naviglio, fondata nel 1946 da Carlo Cardazzo che ha presentato lavori di Boccioni, Sironi, Soldati negli stessi anni in cui mostrava Scanavino, Fontana e poi anche Castellani.
Sono molti gli aneddoti che dimostrano le vicendevoli influenze tra questi quindici artisti, che si incontravano spesso nella Milano dell’epoca. A questo proposito, si può dire che alla prima personale di Emilio Isgrò presso la Galleria Apollinaire nel 1967, Fontana compra un’opera, mentre visita la mostra con Melotti. Così Medardo Rosso, citato da Boccioni nel Manifesto tecnico della Scultura Futurista (1912) frequenta assiduamente la casa di Carrà in via Vivaio 16. Mentre Martini, che aveva lavorato alla stesura di un nuovo manifesto della scultura futurista nel 1920 (poi andato perduto), aveva insegnato Plastica all’Isia di Monza per poi lasciare questa cattedra all’amico
Marino Marini nel 1929.
Dal secondo dopoguerra, si nota uno sviluppo esponenziale degli eventi d’arte (una cinquantina di spazi espositivi riguardanti i soli artisti in mostra) e dei movimenti artistici, che pur diversissimi, mantenevano accesa una discussione intensa.
La decisione di fermarsi sul finire degli anni Settanta coincide con l’inizio di una nuova modalità di intendere l’arte, lontana da manifesti e da movimenti circoscritti, più centrata sulla poetica del singolo, che andrà sviluppandosi sul finire del secolo scorso per caratterizzare il presente.
La mostra si focalizza, invece, sul passato prossimo e sull’entusiasmo dilagante per il nuovo da inventare insieme, che ha coinvolto principalmente il quartiere di Brera.
La scelta delle opere, per questa prima e piccola mostra, vuole essere rappresentativa del criterio con cui si è costituita la Collezione Ramo, che non è unicamente estetico, né dettato da logiche di mercato, bensì da intenti didattici, dal desiderio di far conoscere il disegno, nelle diverse modalità espressive da cui ogni artista è passato. Di ogni autore, si è cercato di segnalare una o più fasi stilistiche, rappresentando i soggetti più ricorrenti, insieme a quelli rari. Si è scelto di presentare i disegni senza il tradizionale passepartout di color avorio che inquadra la parte centrale, ma su un fondo grigio che facesse risaltare la carta, così come l’artista l’aveva trattata, anche con il segno delle puntine negli angoli o con i bordi irregolari.
Le opere in mostra si susseguono secondo un intreccio denso di frequentazioni, stimoli e reazioni che ci hanno permesso di parlare in modo consistente di ottant’anni di condivisione del valore dell’arte, seppur in forme diverse, e di una Milano che non c’è più ma di cui è importante la memoria.